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Un Paese per finta

E così, andremo a votare.

Usciremo di casa con la tessera elettorale come un tempo con la tessera annonaria: qualcuno convinto, tanti senza un perché. Pochi ci credono, tanti ci contano. E ci conteranno fino ai centesimi di percentuale: sospirando, gioendo, fregandosi le mani per l’ennesimo risultato raggiunto.

Domani sarà un altro giorno e nuovi visi, adombrati di vecchie abitudini, entreranno in sale che sanno di fumo e di cera per sedersi, finalmente, negli agognati posti dove qualcuno dirà loro cosa decidere.

Gli altri, andranno al mare. Ma non c’è mare.

 

C’è coda, tanta coda, un’interminabile coda che inizia già dai passi appenninici e poi giù per la discesa: “Genova-Voltri 10 Km”, ma sono 10 Km interminabili, a passo d’uomo. Fermi. Fa caldo. I bambini chiedono dov’è il mare, perché non arriva, e giocano sui sedili dell’auto con secchiello e paletta. Finalmente: il mare.

Non è più mattina e già il sole volge ad Occidente, ma non importa: c’è il mare. Ma una bottiglia d’acqua costa quanto un’ora di lavoro, mangiare un po’ di pesce il salario di una giornata e non ci sono posteggi: devi lasciare l’auto sui primi contrafforti della collina e poi rifarti a piedi, all’indietro, la medesima strada. I bambini, intanto, frignano e chiedono dov’è il mare e perché non abbiamo portato anche il salvagente, quello grosso a forma di delfino.

Quelli che vanno al mare incrociano quelli che vanno a votare, ma tutti hanno stampato sul viso l’identico punto interrogativo: perché sono qui? Perché devo andare là?

 

Così, il dubbio si diffonde come il Festival di Sanremo e valica monti e vallate, mari e città: ma non c’è riva alla quale approdare, né mare per salpare.

C’è solo un grande Stivale colmo di gente che s’incrocia, in una terra dove non c’è più lavoro ma il succedaneo del lavoro, dove la cultura la fa solo più l’avanspettacolo, l’istruzione la fanno i passacarte, la spiritualità gli attori, la politica le comparse.

Costruiamo tante case per gente che non c’è, importiamo tanto petrolio per bruciarlo nelle code in autostrada, fingiamo una campagna elettorale per idee che mancano: c’inginocchiamo, preghiamo, c’arrabbiamo, difendiamo, imponiamo, raccontiamo. Ma che cosa?

Il velario delle veline copre l’insulsaggine del nulla. Chi governa non sa come governare e chi s’oppone non sa più a cosa opporsi, ma se tornasse a governare proporrebbe le medesime cose in salsa tartara, cosa ben diversa che farle in salsa piccante. Ovvio.

Quelli che vanno al mare osservano i visi dei cartelloni elettorali: foto truccate e ringiovanite con Photoshop, volti di giovani già pelati come il “Papi” e vecchi rinfanciulliti al Viagra. Tanto c’è la coda, e qualcosa devi pur guardare.

Quelli che vanno a votare non guardano quei manifesti, altrimenti sceglierebbero la coda che va al mare.

 

Passi la frontiera e scopri d’esser uscito dal regno del nulla: anche là c’è la crisi economica, ma la gente continua a ballare, la sera, nei café chantant della Costa Azzurra, al suono di un’orchestrina. Da noi, nessun albergatore, ristoratore, bar o stabilimento balneare riesce più a permettersi qualcosa di più che un semplice campionatore, un organetto tuttofare con un tizio che preme tasti e ripete musichette pre-registrate. La musica per finta: intanto, chiudiamo le orchestre.

 

Grandi giochi internazionale decretano che l’Italia debba rilevare un pezzo di Germania in salsa statunitense, che Kaiserslautern dovrà diventare una sottospecie del Lingotto. Ma i tedeschi non ci stanno e, pur di non correre il rischio di precipitare nel regno del nulla, scelgono russi e canadesi: costruiranno auto per l’ex URSS. Marchionne, Auf Wiedersehen. A mai più: il nulla fa paura, e le auto costruite per finta non convincono più nessuno.

La nuova strategia? Vendere le Panda 4x4 nel mercato americano facendo credere che siano delle jeep, dei veri fuoristrada: vai, sulle strade che costeggiano il confine canadese, oppure sulle piste presso quello messicano, e corri non il tuo nuovo “SUV” mignon, made in Mirafiori, Torino, Italy.

Perché non abbiamo rilevato la Trabant, già che c’eravamo?

 

Intanto, nello Stivale, la benzina costa circa 1,30 euro, e quelli che vanno al mare o a votare sacramentano, perché sanno che – con il prezzo del petrolio intorno ai 60 $/barile ed il cambio euro/dollaro intorno ad 1,40 – la benzina dovrebbe costare, per davvero, 1,20. Invece, costa “per finta” 1,30, perché con quei soldi devono pagare la Robin Tax. Ovviamente, i 10 centesimi in più sono per davvero, mica per finta.

 

Una rossa con calze a rete gira lo Stivale per dire che sì, questo è il Paese del turismo, del rispetto per l’arte e per la natura: qui, sì che si rispettano gli esseri viventi! Per davvero, mica per finta!

Intanto, un montanaro con calzettoni di lana ha già depositato una proposta di legge per far sparare anche i sedicenni, a tutto, ma proprio a tutto: vuoi sparare alle specie protette, nei parchi, ai passerotti, alle lucertole, ai girini? Volta l’auto, esci dalla coda che va al mare ed immettiti in quella che va al seggio. Nel frattempo, carica la doppietta.

Passi il confine – questa volta ad Est, in quello che un tempo era un regno “comunista” – e scopri che alle Kornati, parco naturale, una semplice legge recita “E’ proibito trarre dalle acque qualunque essere vivente”. Fine della legge: nessun comma truffaldino.

La legge è ancora di Tito ma nessuno, dai nazionalisti a scacchi ai socialdemocratici in salsa americana, ha osato cambiarla: mica sono fessi, dopo si ritroverebbero un gioiello naturale per finta.

Da noi, ci ha provato Soru a fare qualcosa del genere e lo hanno impallinato da più fronti: mentre il maggiordomo di Arcore guidava l’assalto frontale, le truppe cammellate dei rais democristi di un tempo, diligentemente migrati nel PD, gli toglievano la terra sotto i piedi. Adesso, andate in Sardegna: andateci in tanti, stampatene il ricordo nella mente finché ancora esiste, prima che arrivi la promessa mannaia del cemento!

 

Sui teleschermi va in onda a reti unificate la pubblicità dell’ENEL che far girar le pale, ossia gli aerogeneratori, ma l’Italia ha rifiutato alla grande di costruire aerogeneratori in mare, l’unico posto dove non ci sarebbero rompiscatole “esteti” come Sgarbi. Di più: ci sarebbe vento in abbondanza. Non s’ha da fare.

Noi li costruiamo in posti “sicuri”, solo dove i mammasantissima concedono il placet.

E la pubblicità, l’ENEL, le pale che girano? Gli investimenti sull’eolico, l’ENEL, è andata a farli in Texas: e allora…la pubblicità? Mandiamo la pubblicità che fa girar le pale…mentre c’appressiamo a ricevere tutta l’archeologia nucleare che nessuno, nel Pianeta, sa più a chi vendere! Se non esistessero gli italiani, così fessi – si fregano le mani nelle grandi holding dell’ingegneria nucleare – chi ci salverebbe la scrivania?

 

Anche la rumenta, la comune immondizia, è vera o falsa secondo i casi. Quando ci sono da vincere delle elezioni la rumenta spunta come i funghi a Napoli, per poi scomparire (nascosta in periferia) quando le elezioni le hai vinte. Non c’aspettavamo che ricomparisse a Palermo: ah, già…un Presidente di Regione ha messo alla porta proprio gli assessori del capoccia di Arcore…chissà perché. Roba loro: forse paura per lo strapotere della Lega, per la ventilata riforma federale…chissà..

Un tempo, ti recapitavano la testa di un maiale sotto casa: adesso, qualche tonnellata di rumenta. Eh, i tempi cambiano, e il copione della gran finzione viene aggiornato.

 

Nel gran can can elettorale vanno di moda i terremotati, perché il terremotato fa audience, fa notizia: se ti giochi bene il terremotato, è come calare un tris con tre jolly. E allora, vai con le interviste! Scava nel volto del terremotato per cavargli un anelito di speranza – a chi vive sotto una tenda, non è rimasto altro – per fargli dire che sì, che spera in Autunno di ricevere le chiavi di una casa. Ma è una casa per finta, perché nel decreto per l’Abruzzo – mica per scherzo soprannominato “Abracadabra” – c’è scritto che la ricostruzione terminerà nel 2032, e non si dice nemmeno dove prenderanno il becco di un quattrino. E quando inizierà? Ah saperlo…l’importante è superare queste elezioni: per quelle da qui al 2032 ci penseremo dopo.

 

Terminato il festival elettorale, noi insegnanti prenderemo posto nei banchi degli allievi, in una qualsiasi aula dell’istituto e faremo finta di fare gli scrutini. Apriremo i registri, consulteremo i colleghi, ascolteremo la solita tiritera dei Dirigenti Scolastici sulla “prevenzione dell’abbandono scolastico” ed inizieremo il magico rito della transustanziazione, quello che trasforma i quattro in sei. In caso contrario, i giornalisti delle testate locali e nazionali saranno già pronti, matita con punta affilatissima, per vergare e diffondere la notizia con toni allarmati: “Strage al Liceo xy” “Decimazione all’Istituto yz”.

Non sia mai che qualcuno osi correggere il copione, mutare l’abitudine alla finzione, perché nella gran commedia italiana devi vivere rispettando le regole: non importa se, nel frattempo, hanno falcidiato la scuola e più di quello non riesci a fare. Ciò che conta, è rispettare il copione: almeno, non la farai pagare ai ragazzi, quelli che di colpe ne hanno meno di tutti.

 

Anni fa, quando ero segretario del Consiglio d’Istituto, per un banale errore di battitura scrissi, nel verbale di una seduta, “facente finzione” al posto di “facente funzione”. Nessuno se n’accorse: in modo del tutto inconsapevole, avevo soltanto scritto la verità.

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