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Un mandrogno milleusi

Il pensiero d’occuparci di Mario Giordano, più che disturbarci, c’annoia. A morte.

Ci siamo più volte chiesti, osservando il giovane emulo di Farinelli, quale sia il posto, la foglia sulla quale giaccia nell’immaginario organigramma della cultura italiana. Già, perché, un tizio che si mette a blaterare sulla scuola italiana, qualcosa a che fare con la cultura dovrebbe averlo. A meno che non si tratti d’una foglia di fico: quella che s’usa, solitamente, per coprire le parti basse.

Ecco, forse ci stiamo avvicinando al centro, e al punto che sta nel centro del punto: se l’intuizione ci è sovrana, forse Mario Giordano è proprio una foglia di fico, calata con gusto sapiente nella comoda poltrona di un Giornale, nel centro, nel punto del centro. Di quel giornale.

Che ci stia a fare il giovane mezzosoprano in quel punto – così centrale – ci è oscuro e nemmeno ci sogniamo di perseguire vie tenebrose, che tracimano di bon ton retrò, dove gli affanni della dietrologia finiscono per arenarsi e puzzare di soldi smazzati senza troppi indugi, come oggi usa fare, nel tempo dell’inganno globale.

 

E così, il giovane mandrogno[1] ci parla di scuola.

Come si fa in fretta, dalla scrivania del centro, a pontificare di scuola e di guai della scuola! Come ci s’impegna per andare a punto senza mai toccare il boccino, perché a sfiorarlo appena si finirebbe per regalare la partita all’avversario.

Così, si ricopre tutto di glassa e si glissa, si mettono un paio di bocce per sbarrare le vie all’avversario, che altrimenti potrebbe dilagare, e si spera che il bocciatore sia orbo, ubriaco e sonnolento.

Il che, è vero.

L’avversario, più che dilagare, sta affogando nella palude dei suoi macroscopici e terrificanti errori di decenni: quelli di non aver più ascoltato la gente, la quale ha finito per ascoltare soltanto il banditore che urlava più forte.

 

Ma veniamo a noi, a questa scuola del malaffare raccontata dal nostro enfant prodige, il quale se la prende con gli studenti che immaginano don Rodrigo un prete per via del “don”.

Fosse solo questa, caro il mio mandrogno, non ci sarebbe poi tanto da inorridire: in fin dei conti, si sopravvive anche scambiando un nobilastro con un prete, per la differenza che faceva all’epoca. I guai della scuola vanno ben oltre.

Possiamo comprendere gli orizzonti assai limitati di Mario Giordano, poiché esser nati fra il Tanaro e la Bormida può condurre a due soli destini: o si valica la cortina delle nebbie, per approdare così all’Olimpo dei sensi trasfigurati – come seppero fare Pavese, Fenoglio, Tenco e Conte – oppure si finisce dietro la scrivania di un giornale. Di quel giornale.

La scuola di Mario Giordano è quella deamicisiana del libro Cuore poiché, nelle nebbie, l’unico sentore di scuola che si riesce a percepire – dato il limitar dell’orizzonte – è il libro che qualcuno aveva dimenticato sul comodino tanti anni prima, quando la camera era la stanza da letto del nonno.

Così, il buon Mario sceglie la parte del maestro Perboni/perbene e – al modico prezzo di 18 euro, editore (c’è da stupirsi?) Mondadori – ci spiega tutto sul default della scuola con un titolo che sa di folgorazione sulla via di Damasco, di un’epifania dello spirito: “5 in condotta”. Potremmo suggerire “Squola per ciuchi”, “Dietro la lavagna”, oppure lanciarsi in un britannico “Poor School” o in un avveniristico “Lavagne spaziali” ma, si sa, la nebbia incombe.

La sorella di Mario, Mariastella, ha invece scelto la parte della Maestrina della Penna Rossa: così, le foglie di fico sono due. D’altro canto, anche il didietro vuole la sua parte.

 

Con il bel 5 in condotta del mandrogno, scompaiono nelle nebbie decine di migliaia di precari oramai quarantenni, i quali si sono sorbiti le SSIS della verace Moratti, calate come gli Unni per falcidiare chi – nonostante tutti gli avvertimenti ricevuti – ancora s’ostinava a voler fare l’insegnante.

Dopo le SSIS – penate, faticate, scazzate – ecco giungere la sorellina occhialuta, quella dell’”Egìda”, a raccontare che no, ragazzi miei, qui si spende troppo e non ci stiamo più dentro. Andatavene via, fuori: qui non c’è più posto per voi! A quando il libro di Mariastella?

Sincrono con il pontificare del mandrogno – proprio negli stessi giorni! – va in scena nelle scuole italiane l’ultimo atto: mentre tutti sono attentissimi a seguire le vicende di “Papi”, scatta l’operazione “accorpamenti”.

Visto che ‘sti ragazzi confondono nobili e preti, allora meglio “accorparli”: se, prima, erano 20 in classe, con l’accorpamento saranno 30, Brunetta si fregherà le mani, Tremonti benedirà i “risparmi” e quei 30 poveracci andranno a aff…

Perché?

Ve lo racconto in due parole.

 

L’operazione “accorpamento” è quella che dovrà portare quasi 8 miliardi di risparmi dalla scuola, i quali saranno reinvestiti per 1/3 nell’istruzione (private comprese) e per 2/3 entreranno a far parte della fiscalità generale, ossia saranno conteggiati da Tremonti alla voce “Attivi di bilancio”.

Per i trenta poveracci, invece, significherà avere insegnanti che potranno fare ancor meno: ovviamente, se prima – in 20 – non riuscivano ad identificare don Rodrigo, domani lo faranno certamente meglio in 30. Volete sapere come funziona?

Una classe, in media, è composta da un 20% di “bravi”, da un 60% di “normali” e da un 20% di chediomelamandibuona.

Se un docente ha 20 allievi, avrà il tempo per non annoiare i “bravi” (che vorrebbero magari fare di più, ampliare le loro conoscenze, ecc), riuscirà a trascinare quel corposo 60% di mediani e troverà anche il tempo per cercare di salvare i naufraghi.

Con 30 allievi – e, questo, domandatelo a tutti i prof che conoscete – non ce la farà più (avrà 18 “medi” contro i 12 di prima!) e, allora, cosa escogiterà?

I bravi sono bravi e se la possono cavare da soli, con poco sforzo: perciò, mi dedicherò di più ai mediani. E i perduti nelle nebbie? Eh…se avanzerà tempo, se Dio gliela manderà buona…

Perché Giordano vorrebbe farci spendere 18 euro e del tempo, per raccontare una vicenda che si chiude in tre parole?

 

Tutti incolpano, per la malascuola italiana, la processione di ministri che l’hanno “cambiata”, da Berlinguer alla Maestrina della Penna Rossa.

Tutto il malaugurio nasce, invece, con il Decreto Bassanini, nel quale si ponevano le basi per la dismissione della scuola dallo Stato agli Enti Locali. Siccome non bastava ancora (e, date quelle premesse, non si poteva far altro), pensarono bene di “concedere” ai docenti un “monte ore” per “modernizzare” la scuola. Accidenti, quando si parla di scuola, le virgolette non bastano mai.

Il buon Giordano – probabilmente fulminato dalle nebbie, più che sulla via di Damasco – va a spulciare il solito stupidario della scuola (lo avrà, probabilmente, copiato da qualche sito Web) e scopre che è colpa dei docenti che si mettono ad insegnare la teoria della conservazione delle marmellate. Chissà se il mandrogno era a conoscenza che, il primo a scrivere un trattato sull’argomento, fu il medico personale di Caterina dé Medici, in arte regina di Francia, che rispondeva al nome di Michel de Notredame, in arte Nostradamus.

Lasciamo le pieghe della Storia e torniamo a noi perché, oltre alle facezie enunciate dal mandrogno, con la riforma dell’autonomia giunsero anche lo studio del Diritto e dell’Economia, le Tecnologie dell’Informazione, lo Spagnolo (seconda lingua del Pianeta!), la Fisica e le Scienze sperimentali. Già, ma al mandrogno conviene trastullarsi fra pizzette e confetture.

 

Per chi vive fuori della scuola, non è facile comprendere che la classe politica – sin dai tempi nei quali la Jervolino era Ministro della Pubblica Istruzione – non sapeva come cavarsela con una scuola riformata nel 1923 e poi, praticamente, mai più toccata.

Ah certo: si fa presto a dire “com’era bello quando i treni arrivavano in orario”, ossia come quella scuola funzionasse abbastanza bene. Abbastanza, sia chiaro, perché era una scuola d’elite.

Se qualcuno ha dei dubbi, scorra le pagine di due testi “paralleli”: “Un anno sull’altopiano” di Lussu e “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, di Remarque. Per capire come i due sistemi scolastici fossero già allora distanti, basterà riflettere che i tedeschi – completato il Gymnasium – finivano a fare i fantaccini mentre, da noi, bastava uno straccio qualunque di pezzo di carta scolastico per fare l’ufficiale. E ancora non bastava, al punto che furono promossi ufficiali (con carriera limitata a capitano) anche dei sottufficiali senza istruzione. In pratica, eravamo già indietro – per istruzione – un secolo fa.

Quando si cerca di portare lo standard italiano ai livelli europei – ossia la scolarità fino ai 18 anni – quella scuola inizia a far acqua da tutte le parti. Perché? Poiché era stata pianificata – nel 1923, da Gentile e Lombardo Radice – per essere la scuola del 10% degli italiani! Se si mantengono identici livelli d’apprendimento (e di verifica dei risultati), quella scuola finisce per fornire inevitabilmente i medesimi risultati, ossia un 10% circa di “abili”. E per gli altri? Non essendoci alternativa alla bocciatura del 50% (a dir poco) ogni anno, il sei politico diventa l’unica soluzione praticabile.

 

Spiegare l’impasse della scuola italiana è più facile con un semplice esempio: la scuola d’elite creata da Gentile e da Lombardo Radice è paragonabile ad una produzione d’alta qualità, ad esempio la Ferrari. Se si producono poche e costose Ferrari per un mercato ristretto, tutto funziona. Quando, la faccenda “grippa”?

Quando si pretende che dalle linee della Ferrari escano auto popolari: gli impianti, le maestranze, il know-how non sono assolutamente compatibili con la produzione d’utilitarie.

Fuor di metafora, la questione non riguarda soltanto l’annosa querelle sulle lingua antiche, perché quella scuola – parimenti – forniva ottimi Geometri che sapevano progettare e costruire, abili Ragionieri, Periti in grado d’essere classe dirigente industriale.

Come s’ottenevano quei risultati? Mediante la selezione.

Provate ad immaginare, oggi, classi composte totalmente, per capacità ed impegno, soltanto da quel 20% di “bravi” che oggi continuano ad esistere: potrete tranquillamente fare classi di 30 persone ed iniziare il primo di Ottobre. Quelli, non avranno problemi perché sono i più capaci.

Difatti, la scuola italiana continua a formare le cosiddette “eccellenze”, tanto che bravi ricercatori italiani occupano posti di grande responsabilità all’estero. Ogni tanto, arriva pure un Nobel.

La vera e propria frana inizia quando si vogliono applicare quei criteri alla quasi totalità degli studenti italiani: cosa succede?

 

Liceali che sanno a mala pena tradurre Cicerone, che hanno una vaga idea di cosa sia una derivata, diplomati tecnici che piazzano una vaschetta di Zinco in un impianto di riscaldamento con tubi di Rame (capitato a chi scrive, con prevedibili risultati), poiché sanno poco o nulla di Fisica e di Chimica.

Quindi, il semplice “ritorno al passato” non serve: quel “passato” già l’abbiamo e sappiamo che, per le “eccellenze”, funziona. Il problema è fornire una buona istruzione, di medio livello, per persone con capacità medie: quello che in Germania riescono, da sempre, a fare.

All’estero esistono offerte formative più coerenti, senza scivolare nella eccessiva varietà o specializzazione: perché non copiare qualcosa?

Per un malcelato campanilismo, la scuola italiana tende a difendere “in trincea” il proprio modello – che, ricordiamo, per le “eccellenze” funziona – senza accettare che, chiudendosi nella torre d’avorio che favorisce i pochi “bravi”, finirà per condannare all’ignoranza intere generazioni. Chi poteva intervenire?

 

La classe politica, incapace di proporre qualcosa, con la riforma dell’autonomia gettò sulle spalle dei docenti responsabilità che non potevano prendersi in toto: in altre parole, una riforma “dal basso” non era praticabile, poiché – e qui entrano in gioco altri problemi, meno conosciuti – si doveva riformare il non riformabile.

Parallelamente alle materie di studio ed agli indirizzi, ci sono le classi di concorso dei docenti e le cosiddette “cattedre”, ossia le ore settimanali per ogni disciplina. Si tratta, in parole povere, di un puzzle piuttosto complesso che ha vissuto, finora, con l’impianto del 1923.

Nessuno, ovviamente, ha mai pensato ad una riforma organica e coerente con i tempi poiché – in fin dei conti – conviene loro che ci sia soltanto un ristretto numero di “dotti” ed una vasta pletora che ha scarsi mezzi per interpretare la realtà che li circonda. Le analisi, compiute da molti istituti di ricerca sul cosiddetto “analfabetismo di ritorno”, lo confermano.

 

Così, ai poveri docenti italiani fu precipitata addosso la responsabilità di trasfigurare in alchimisti: con un misero 15% del monte orario (poi divenuto 25%) dovevano cavarsela – da soli – a risolvere il dilemma. Da Roma, silenzio assoluto.

Berlinguer promise i famosi “saperi minimi” e ancora li aspettiamo, la Moratti strombazzò una riforma, per poi approvarla in zona Cesarini a futura memoria, poi giunse Fioroni con il suo cacciavite e, infine, una tizia che potrebbe (forse) fare l’assessore all’Istruzione in un Comune sotto i 5.000 abitanti.

L’unico – paradosso! – che avrebbe avuto competenze ed idee era il professor De Mauro, ma fu solo un supplente e i supplenti – si sa – più che un po’ di ripasso non riescono a fare.

Adesso, arriva un certo Mario Giordano da Alessandria – che, non si sa come, s’è assiso alla scrivania che fu di Montanelli – e ci viene a raccontare la rava e la fava? Per “tirare la volata” alla sorella? Ossia, per fare in modo che la sorella possa impunemente firmare tutto quello che le passano Tremonti e Brunetta?

In tutta sincerità, mi frega assai poco di quanto si potrà blaterare sulla scuola italiana: quel che conta – e questa è la sola motivazione di scrivere al riguardo – è avvertire i poveri genitori dell’inganno nel quale sono stati precipitati. Loro, incolpevoli, i docenti, incolpevoli, gli allievi, incolpevoli.

 

Basti pensare che i docenti italiani, poche settimane or sono, si sono trovati a dover interpretare – per l’adozione dei libri di testo – una circolare non solo contraddittoria, bensì già cassata dal TAR del Lazio! La risposta? Ci sarà il ricorso al Consiglio di Stato, non temete: lo Stato non s’è ancora estinto! Ma, il TAR, non è parte dello Stato?

Vorremmo chiedere perché in Francia ed in Germania la spesa per i libri è risibile e, per la maggior parte, i testi vengono forniti direttamente dalla scuola, in comodato d’uso. Una cugina, a Parigi, spendeva 30 euro l’anno per due figli alle superiori! Dove finiscono i soldi?

 

Con la bella trovata dei “fannulloni”, Brunetta ha imposto come obbligo la visita fiscale anche per un solo giorno di malattia: il problemi, sono i tempi e chi paga.

Poniamo che, nell’arco della mattinata, giunga la telefonata che avverte dell’assenza: la scuola informa immediatamente la ASL di competenza per la visita fiscale ma, a quell’ora, i medici avranno già ricevuto il carnet delle visite. Quindi, un problema organizzativo non facile da risolvere. L’obiettivo, però, è un altro.

Una visita fiscale costa circa 60 euro e qui, la bella impostazione “privatistica” – di Bassanini, e poi di tutti, a seguire – fornisce il meglio di sé, perché mette in competizione due servizi dello Stato, proprio per quei 60 euro.

L’ASL avrà interesse ad incassarli, la scuola a non perderli: scatta così una gara sui tempi. Medici con le scarpette da atletica ed impiegati della scuola con fax “sonnolenti”: si gioca sui tempi, per salvare il bilancio, dell’uno e dell’altro.

Da quel che appare, la scuola sta perdendo ed i bilanci sono in rosso proprio per le maledette visite fiscali per un solo giorno. Un tempo, era il Preside a decidere se inviarla per un solo giorno: una questione di buon senso.

Immaginate una scuola con 60 dipendenti (docenti + ATA) dove ogni dipendente – rispettando in pieno la statistica della Ragioneria dello Stato! – stia a casa per malattia un giorno il mese. E’ una caso limite, “di scuola”, ma utile per capire dove si va a parare: fanno 3.600 euro il mese, 43.200 euro l’anno, che per una scuola di quella grandezza rappresentano più del 50% del budget, e tantissime voci del bilancio sono incomprimibili.

Ovviamente, non tutte le assenze sono di un giorno, non tutte le visite fiscali possono essere eseguite, ma l’esborso è comunque notevole.

Difatti, le scuole stanno indebitandosi per le visite fiscali: alcune, iniziano ad attingere agli anticipi di bilancio per il prossimo anno (siamo poi certi che arriveranno quei soldi?) ed azzerano tutte le attività che costano anche pochi euro.

Dopo aver creato le condizioni per “sbancare” i bilanci delle scuole, fra poco (magari d’estate, dopo le elezioni) daranno un ulteriore “giro di vite”, con la scusa che la scuola costa troppo. La Gelmini lo ripete ad ogni piè sospinto. In realtà, sono loro stessi a creare le condizioni del disastro: interrogato sul problema, Brunetta ha risposto che la questione “è allo studio”. Studia, va, che ne hai bisogno.

Ai più attenti, non sarà sfuggito che si tratta di un colossale trasferimento di denaro dalle casse delle scuole (Stato) a quelle delle ASL (Regioni): in questo modo, si dissanguano le scuole per allontanare il pericolo di bilanci in rosso delle ASL. Detto in altri termini, con una partita di giro, la scuola va a fondo e la sanità tenta di sopravvivere.

 

Qual è il ritorno, per la classe politica, nell’abbandonare la scuola al suo destino?

Con la legge D’Alia la classe politica cerca di mettere il bavaglio ad Internet: perché mai dovrebbe pianificare una scuola per formare buoni cittadini? Domani, se diventassero coscienti, li giudicherebbero.

Una piccola prova? Nonostante sia materia di studio, nessuno o pochi spiegano l’Educazione Civica. Scientemente, tutti i Ministri hanno sempre relegato in un negletto cantuccio proprio la materia che consente di comprendere il “posto” che il cittadino occupa nella società. Se si vogliono solo dei sudditi, a che pro “farli studiare” da cittadini?

La scuola, privata proprio dei suoi compiti precipui, diventa solo più un “servizio” che deve costare il meno possibile: già negli anni ’90, la progressione in calo dei docenti era dell’1% annuo. Ovviamente, ciò condurrà ad un declassamento dell’Italia in Europa e nel mondo: ciò che abbiamo sotto gli occhi.

Se in quegli anni s’iniziò con un Ministro della Funzione Pubblica (Bassanini), che impose quel disegno, ed un Ministro dell’Istruzione (Berlinguer) che lo attuò, giungiamo a verificare che lo schema non è mutato: oggi, Brunetta impone e la Gelmini firma. A margine, possiamo solo notare come si sia passati dalla tragedia alla farsa.

 

Quindi, le operazioni editoriali come quella di Mario Giordano sono soltanto il supporto ideologico per riuscire ad imporre tagli e dismissioni al patrimonio culturale della scuola italiana, così avremo soltanto – come imprinting culturale – l’Isola dei Famosi ed il prof. Filippo de Maria. Perfettamente coerenti con i desiderata di “Papi”.

Paradossale, poi, che l’operazione parta da un giornale di proprietà del Presidente del Consiglio: del resto, siamo oramai abituati a cose ben peggiori.

Come tutte le operazioni pseudo-culturali di bassa lega, si cerca di far leva più sulla “pancia” dell’elettorato: si cita “MadameWeb” come esempio negativo, le pizzette gratis promesse dalle scuole per avere più iscritti ed altra paccottiglia di vario genere, senza mai affrontare il nocciolo del problema, ossia adeguare la scuola ai tempi mantenendo ciò che c’è di buono.

 

Un dibattito serio sulla scuola richiederebbe ben altro spazio ma spero, con queste poche righe, d’esser stato chiaro e, soprattutto, d’aver fatto risparmiare 18 euro a qualcuno: 18 euro che sono proprio i classici 30 denari, pagati al mandrogno per reggere la coda alla Gelmini, a Brunetta ed al loro “Papi”. Si vergognassero.

 

E se, i docenti italiani, dovessero iniziare a giudicare i direttori di testata? Ce ne sarebbe da dire.


 

[1] Mandrogn’: termine dialettale piemontese per definire gli abitanti d’Alessandria. La probabile origine è da mandria o mandriano.

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