Ladri di organi

 

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Erode è fra noi
 

Ciò che leggerete nel libro è qualcosa che nessuno scrittore, nessun giornalista vorrebbe mai battere sui tasti del computer: anzi, non vorremmo che esistesse nemmeno un simile pensiero che attraversa la mente. Al posto di queste righe dovrebbe esistere solo uno zero senza colore e senza forma.

Eppure esiste, e nessuno ha il coraggio di parlarne. Se ne parla più con i “si dice” che con i “si sa” non perché non esistono le informazioni, i sospetti, addirittura i dettagli, quanto perché Erode è la figura che più fa schifo nella vasta compagine d’assassini che hanno insozzato la storia umana.

Adolf Hitler fu responsabile della morte di milioni di persone, fra le quali chissà quanti bambini, ma Hitler diresse la sua angoscia omicida contro l’intero genere umano, fra i quali c’erano molti bambini. Erode no: è un archetipo, una specie di terminator specificatamente sceso fra noi con lo scopo d’uccidere bambini, carne tenera, innocente ed ignara.

L’Erode odierno ha nome e cognome – come vedremo in seguito – anzi, più nomi e cognomi e non si fa scrupolo d’uccidere anche gli adulti quando si frappongono fra lui ed il mercato, ovvero l’alta macelleria del traffico internazionale d’organi per i trapianti.

E’ un argomento tabù: non se ne deve parlare. Se non hai prove inconfutabili per accusare taci, come per Ilaria Alpi. Esiste un traffico internazionale di rifiuti tossici? Nessuno è riuscito ad inchiodare alle sue responsabilità qualche faccendiere internazionale con le mani ancora sporche di diossina, però Ilaria Alpi e Miran Hrovatin ricevettero dal sultano di Bosaso – in Somalia – alcune confidenze in merito, ed il giorno dopo furono crivellati dalle pallottole nel centro di Mogadiscio.

Allo stesso modo, nessun magistrato è finora riuscito ad inchiodare alle sue responsabilità i gruppi di neofascisti che organizzarono ed eseguirono gli attentati dinamitardi da Piazza Fontana in poi, eppure saltarono per aria stazioni e treni.

Non avere sufficienti prove per definire un quadro accusatorio è un problema che riguarda la Magistratura; il compito di chi scrive è invece quello d’informare – assicurando sì il miglior controllo delle fonti – ma non si deve confondere il ruolo (e le responsabilità) di chi informa con quello di chi deve giudicare.

Un magistrato può intimare ad una persona di comparire dinnanzi a lui per fornire informazioni: uno scrittore non ha questa possibilità, e può solo usare le armi dell’intelligenza e della logica. Tutta la vicenda del traffico internazionale d’organi per i trapianti è permeata da quest’assillo: hai le prove? hai le prove? hai le prove?

Le prove sono sepolte – a volte assai male – in paesi lontani, governati da personaggi corrotti, dove le polizie spesso si comprano e si vendono con una mazzetta di dollari e dove i magistrati coraggiosi devono stare attenti ad ogni passo che compiono, perché la vita di un uomo in quei paesi non vale quasi nulla.

Eppure, in Europa c’è ancora qualcuno che cerca di gettare sabbia su ciò che sta ormai emergendo come uno dei peggiori mostri creati dall’umanità: l’appropriazione – consenziente oppure no – di parti d’altri corpi umani per farne commercio, per utilizzare quelle parti come pezzi di ricambio nei paesi ricchi.

Il problema ha molti aspetti in comune con il fenomeno della schiavitù, che ha permeato il pianeta per millenni; oggi si varca un’ulteriore frontiera: non più l’appropriazione di un altro essere come entità indivisibile, bensì delle sue parti. Chaplin presentò in Tempi moderni l’uomo-macchina, divenuto schiavo delle cascate d’ingranaggi che ne regolavano la vita: oggi, al mercato degli uomini-macchina si sta aggiungendo e sovrapponendo quello dei pezzi di ricambio.

L’impressione che si ricava da questa vicenda è che una sorta di scrupolo, un terrore viscerale c’impedisca di guardare in faccia alla verità, qualunque essa sia. La Commissione Europea afferma che non è possibile interferire con le magistrature d’altri paesi sovrani, le commissioni parlamentari non ritengono sufficienti gli indizi per promuovere azioni diplomatiche: altri, in modo assai brusco ed intransigente, negano il fenomeno definendolo una “leggenda metropolitana”.

Mentre in Europa ci poniamo questi eruditissimi scrupoli – dissertando fra etica e deontologia professionale – in Africa queste faccende si risolvono a colpi di machete e di Kalashnikov, perché il disastro sociale lasciato dai colonizzatori non ha permesso alle giovani nazioni africane d’uscire dalla fase della decolonizzazione.

L’intero continente africano è considerato tuttora soltanto un serbatoio di materie prime al quale attingere: le popolazioni? Purtroppo lo abitano, e bisogna sopportarle.

Il mensile RID, una rivista di strategia e mercato delle armi, negli anni ’80 pubblicò un articolo di Edward Luttwak – analista del Pentagono ed esperto di politica internazionale molto ascoltato dall’amministrazione Bush – dove si affrontava il “problema Africa”.

Il buon Luttwak sentenziò candidamente che, se l’AIDS ed altre malattie falcidiavano le popolazioni africane, non era poi il caso di preoccuparsi troppo: per garantire l’approvvigionamento di materie prime dalle miniere africane ai paesi industrializzati era sufficiente una popolazione di circa 50 milioni d’abitanti, approssimativamente un decimo di quella attuale.

Siccome gli altri 450 milioni – continuava il buon consigliere di Bush jr. – bisogna mantenerli con gli aiuti internazionali, se l’AIDS ci dà una mano…

Forse il direttore di RID dell’epoca – Giovanni Lazzari – quando pubblicò l’articolo non considerò che quelle parole avrebbero suscitato scalpore fra i lettori: evidentemente, riteneva che nel mondo degli “uomini duri” che leggono le riviste militari non ci sia posto per le debolezze d’animo.

Invece giunsero alla redazione molte lettere di protesta (pochissime pubblicate) di persone che – pur leggendo una rivista militare – non ritenevano di concordare con chi proponeva l’AIDS come un buon metodo per stabilizzare l’equilibrio maltusiano.

Esistono evidentemente correnti di pensiero che considerano le persone soltanto per la loro maggiore o minore valenza economica: le assicurazioni stesse – come tutti sanno – monetizzano la vita umana mediante apposite tabelle, laddove se viene travolto sulle strisce pedonali un manager è previsto un indennizzo dieci volte superiore rispetto a quello di un manovale.

Se espandiamo questo concetto, quale valore ha la vita di un africano che sopravvive solo grazie agli aiuti internazionali? E quella di un bambino senza famiglia che vaga in una metropoli brasiliana?

Non dimentichiamo che queste situazioni di degrado non sono nate dal nulla: i nativi americani ed africani campavano meglio prima dell’arrivo dei colonizzatori. Forse alcune malattie provocavano vittime fra la popolazione, ma quanti morti ci sono stati per le malattie diffuse dai colonizzatori?

Chi si assume la responsabilità storica per le culture distrutte, le società disgregate, le razzie di schiavi, l’occupazione coloniale e – oggi – per la nuova puntata del neocolonialismo “targato” Iraq?

Meglio non pensarci – affermano quelli come Luttwak (e non solo loro…) – acqua passata…guardiamo avanti…

Qualcuno ha guardato avanti, ed ha stimato che il concetto di mercato globale può essere associato ai beni e alle persone. Ed ai loro pezzi.

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