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Il potere degli iniziati

 

Cinque anni di governo Berlusconi potranno bastare – come affermò a suo tempo Enzo Biagi – per “vaccinare” gli italiani dalla malattia?

Difficile esserne certi, giacché una “vaccinazione” politica e sociale deve comprendere – necessariamente – la comprensione profonda del “fenomeno Berlusconi”, da non scambiare con il governo di centro-destra: sono due argomenti distinti e solo parzialmente sovrapponibili.

Ma, domandiamoci: Berlusconi è veramente quel genio dell’economia e della finanza che tutti spacciano a piene mani? Davvero possiede il “fiuto” del finanziere d’alto rango? I suoi fallimenti derivano solo dall’impossibilità di governare il Paese con il “pugno di ferro”, come sostiene che avrebbe fatto se non si fosse trovato a dover fare i conti con gli ex missini (accusati di statalismo) e gli ex democristiani (colpevoli d’assistenzialismo)?

Potremmo raccontare all’infinito innumerevoli storielle di malaffare: il Berlusconi colluso con ambienti mafiosi, in odore di corruzione, inquisito per mille sporche faccende, graziato da provvidenziali prescrizioni, ma non riusciremmo mai a spiegare il disastro economico causato dal pelato da Arcore.

In realtà, Berlusconi non è affatto un grande finanziere, non è un genio degli affari, non è un marziano calato nell’Italietta delle dame di San Vincenzo: egli stesso è il prodotto putrescente di decenni di dilettantismo in politica ed in economia.

Attenzione: non stiamo sostenendo che è stato semplicemente aiutato a raggiungere il successo economico da Craxi e dalla banda di corruttori della “Milano da bere”, la gentaglia che portò il debito interno dal 60% al 127% in quindici anni, rovinando la vita a generazioni d’italiani, presenti e future.

Stiamo affermando con chiarezza che non capisce assolutamente nulla d’economia, che – nel libero mercato che tanto agogna –  non saprebbe gestire niente di più di un banco di frutta e verdura in un mercato rionale (sempre che i comunisti non gli calpestino l’insalata).

Per capire la gravità di queste affermazioni, bisogna riflettere sul Berlusconi imprenditore: fatta la tara al patron dei media italiani, capiremo meglio il suo insuccesso in economia.

Non è casuale che Berlusconi sia un imprenditore dei media: proprio l’esperienza dei media gli ha insegnato che ciò che conta è l’apparire, non l’essere.

Per apparire iniziò dal gradino più semplice – per passare dall’anonimato delle operazioni immobiliari alla notorietà – la miglior vetrina per chi deve salvare un patrimonio o nascondere malefatte di varia natura: il calcio.

Berlusconi acquistò un Milan che navigava nei bassifondi della classifica, più volte retrocesso in serie B, e lo rilanciò nel gran palcoscenico del calcio che conta: chi può ricordare le trasmissioni sportive d’inizio anni ’80, incontrò proprio lì – per la prima volta – il bel faccione del Silvio nazionale.

Fu bravo, bisogna riconoscerlo: Berlusconi è uno che di calcio se n’intende. Magari potremmo offrirgli la panchina della Nazionale, sempre che non venga a lamentarsi perché un arbitro è comunista o perché di mestiere fa il magistrato.

Acquistò degli ottimi atleti, trovò in Sacchi (che aveva imparato il mestiere da Liedholm) un buon esecutore ed iniziò la favola dell’imprenditore double face, anzi a più facce.

Ma le televisioni – obietterà qualcuno – almeno quelle ha saputo gestirle come si doveva...

Certamente, ha gestito splendidamente tre reti nazionali in un regime di completo monopolio: altro che URSS!

Non sorprende la sintonia di Silvio con Putin, almeno per le questioni mediatiche: dove trovare un altro assassino della libertà d’espressione come l’inquilino del Cremlino?

Silvio Berlusconi iniziò ad acquistare (a prezzi ridicoli) le frequenze da governi retti proprio dai socialisti che oggi ha inglobato nella sua raffazzonata armata Brancaleone: gente come Cicchitto o De Michelis sono amicizie di vecchia data, sin da quando Craxi gli regalò per un pugno di lenticchie l’intero etere nazionale.

Quando sei padrone del mercato – e la concorrenza si chiama RAI, ovvero un antagonista lottizzato dai partiti politici – non resta che inondare l’etere di trasmissioni nazional-popolari: contenitori, meri contenitori per trasmettere il vero messaggio, ovvero la pubblicità.

Ecco allora spuntare la “corte dei miracoli” di Mediaset: pochi professionisti profumatamente pagati – Fede, Scotti, Costanzo, Bongiorno, Mentana (poi “silurato”), ecc – ed una pletora di parvenu della comunicazione: personaggi intercambiabili come i robottini giapponesi: oggi a Mediaset, domani a votare leggi in Forza Italia.

Il travaso avvenne alle elezioni del 2001, quando un’armata Brancaleone calò dalla Fininvest in Forza Italia: addirittura l’avvocato Ghedini – che difende il Cavaliere nel suo interminabile gioco dell’oca con la Magistratura – è un deputato che vota le leggi sulle quali baserà la difesa del suo assistito.

L’incompetenza ha regnato sovrana dal 2001 ad oggi: Marzano fu inviato alle “Attività produttive”, che devono decidere la politica energetica della nazione, e ritenne che la miglior idea da buttare sul tappeto per il terzo millennio era quella di costruire centrali a carbone. Quando qualcuno obiettò che le centrali a carbone inquinano pesantemente l’ambiente, se ne uscì bello bello ad affermare che gli inquinanti “sarebbero stati stivati nel fondo delle miniere tedesche in disuso”. Nessuno ebbe il coraggio di comunicargli che i principali inquinanti generati dalla combustione del carbone sono l’anidride carbonica, solforosa e gli ossidi d’azoto: tutti gas. Nessuno – ancora oggi – è riuscito a capire cosa voleva intendere il ministro: si riferiva alle ceneri? Ma quelle – da decenni – finiscono nelle miniere in disuso, mentre se vuoi “stivare” dei gas nel fondo di una miniera ti tocca riempire miliardi di palloncini. Era questa l’idea? No, perché non abbiamo capito...

Il bel Tremonti non vedeva l’ora di far scendere nuovamente in campo la sua legge, la legge Tremonti. Se esistono le leggi Bassanini, Schifani o Maccanico, addirittura la vecchia legge Reale, perché non può starci anche la Tremonti?

Detto fatto. Con la nuova legge chi investiva in azienda detraeva dalle tasse le spese d’investimento. Bella pensata: gli imprenditori del nord hanno acquistato fuoristrada da sogno per la maturità dei figli, computer a bizzeffe per il trastullo dei pargoli, viaggi per sé, la moglie e l’amante fatturati come spostamenti per lavoro, e non hanno pagato un centesimo di tasse. L’azienda? Spostata in Cina od in Romania: poi, se le cose vanno male, si dà la colpa all’euro.

Il dilettantismo è tollerato giacché Berlusconi da sempre ritiene che per guadagnare bisogna anzitutto ridurre i costi; meno paghi la gente, più te ne metti in tasca: questa è la sua “formazione” di grande finanziere. Il che è anche vero, ma solo se non devi affrontare un confronto sulla qualità dei beni e dei servizi prodotti, ovvero se agisci in regime di monopolio.

C’era bisogno di puntare sulla qualità per conquistare il dominio dell’etere? A parte la RAI – ingessata nelle sue pastoie di regime – non esisteva altro. Cecchi Gori? Se dà fastidio si prepara una bella trappola finanziaria, così dovrà vendere tutto al miglior offerente e La7 non decollerà mai.

A questo punto non rimaneva che produrre fiction, intrattenimento a basso costo da inframmezzare agli spot pubblicitari. Serve la qualità? L’abbiamo vista in azione ne “Il grande fratello” o ne “La fattoria” (e ne “L’isola dei famosi” di mamma RAI in epoca berlusconiana). Anche la fiction è a basso costo: per “Cuore” si scrittura un attore che ha avuto buona visibilità su RAI1 con “Un medico in famiglia” – Giulio Scarpati – e poi si pesca a piene mani nelle compagnie teatrali di dilettanti. Saranno dilettanti ma, dopo aver recitato ne “L’opera da tre soldi” o nel “Marat Sade”, sono perfettamente in grado di recitare venti battute di De Amicis, con il gran pregio che si pagano quattro soldi.

Certo, la qualità non è più quella di “C’eravamo tanto amati”, dove recitavano Fabrizi, Gassman, Manfredi, la Sandrelli e Satta Flores, ma a che serve la qualità? Per propagandare pannolini? Ricordiamo – per citare un solo paragone nella fiction televisiva –  il “Marco Polo” di Giuliano Montaldo; ricerca storica, meticolosità nelle scenografie, “immersione” nella cultura cinese dell’epoca: ecco come nasce la fiction di qualità.

Il telespettatore medio vive un rapporto dialettico e simbiotico con lo schermo TV: se è vero che può esercitare il suo diritto di critica cambiando canale, è garantito che dopo decenni di TV spazzatura non saprà più riconoscere un sasso da un’albicocca.

Lentamente, anno dopo anno, ci s’abitua al nulla, ad un pudding fatto di veline, messaggi pubblicitari, comunicati elettorali, cantanti-attori ed attori-cantanti, personaggi che siedono oggi nei banchi del Parlamento (Pivetti...) e domani fanno i conduttori televisivi, nell’attesa di tornare in Parlamento o di ricevere una chiamata milionaria da un’emittente TV.

La qualità del servizio – a questo punto – diventa irrilevante: se vuoi di più, paga l’abbonamento ai canali satellitari.

Questo è il Berlusconi che sbarca a Palazzo Chigi, un imprenditore con una sola ossessione: pagare poco i lavoratori, comprimere i costi oltre l’incomprimibile, perché il successo delle iniziative – a fronte di un budget pubblicitario saldamente ancorato a Mediaset – non ha nulla a che vedere con la qualità dei prodotti.

Tutta l’attività del governo è improntata da questa ossessione: dalla Moratti che cerca di “far fuori” la ricerca (a che serve se non produce frutti subito?) al Sud che viene abbandonato (tanto sono solo terroni che non vogliono lavorare...). Trionfa il Lega Nord-pensiero: rimboccati le maniche, lavora da mane a sera, la Domenica e le feste comandate, così potrai permetterti una settimana a Milano Marittima, dove nei locali notturni potrai incontrare i tuoi idoli, ovvero gli stessi personaggi che t’imbottiscono di stupidaggini ogni giorno dallo schermo TV.

Per legittimare quella che potremmo definire quasi come una “pulsione”, si “pesca” dal lavoro che un oscuro professore universitario emiliano ha prodotto (negli anni del centro-sinistra) per “liberalizzare” il mondo del lavoro.

Bisogna riconoscere che il modello che stese Biagi non è la schifezza che abbiamo sotto agli occhi: se il mercato del lavoro ammette occupazioni saltuarie e non continuative, si devono prevedere opportuni strumenti per garantire un reddito nei periodi di disoccupazione, altrimenti si finisce per campare “a singhiozzo”.

Troppo complicato per Marzano e Maroni: si prende quel che serve ed il resto si butta; non si fa così anche nel montaggio cinematografico?

La legge Biagi nasce monca, e così ci ritroviamo una generazione d’insicuri, che non possono acquistare una casa, un’auto, niente, perché nessuno si fida di quel loro posto di lavoro “a singhiozzo”. Se il professore si lamenta e viene assassinato dalle Brigate Rosse, da un lato gli si rendono alti onori, mentre dall’altro si sibila che era un “rompicoglioni”. Non se lo fece scappare un oscuro deputato di Lampedusa in preda ad un raptus, ma l’allora Ministro dell’Interno Scajola, che oggi cura la “macchina elettorale” di Forza Italia.

 

Già, Forza Italia, il partito-azienda del Cavaliere, o l’azienda che diventa partito: a scelta.

Non si può sorvolare sulla genesi di un partito politico che nasce in quattro e quattr’otto, “travasando” in fretta e furia un organigramma aziendale e rinominandolo – con un processo che rasenta l’iniziazione – soggetto politico.

Se lo staff dirigente di Forza Italia è formato principalmente da ex democristiani ed ex socialisti (Scajola, Pisanu, Cicchitto, ecc.), i quadri intermedi provengono in larga parte dal settore editoriale di Mediaset o dalle varie finanziarie del Cavaliere, soprattutto nelle Amministrazioni Locali.

La formazione di una classe dirigente è stato ed è il principale problema che Berlusconi avrebbe dovuto affrontare, ma così non è stato: ancora oggi, nella prospettiva di perdere le elezioni del 2006, Berlusconi immagina “1.000 attivisti di Forza Italia, preparatissimi (e ben pagati) che girano l’Italia per aumentare il consenso, per spiegare il buon governo del centro-destra che il popolo – ossessionato dai proclami denigratori della sinistra – non riesce a capire”.

Messa così, sembrerebbe una colossale operazione di “lavaggio del cervello” da attuare nei confronti del popolo bue, ovvero di coloro che non capiscono che – anche quando governa il centro-destra – le colpe delle cose che vanno male sono sempre di Prodi e del centro-sinistra.

Parrebbe una barzelletta, ma così non è: gli interventi di Bondi e degli altri gerarchi del gran circo “MedItalia” calcano tutti questo sentiero.

Per coloro che dovranno affrontare la campagna elettorale, il Cavaliere impone di frequentare il corso di “dialettica dell’informazione”, ovvero una serie di tecniche da usare nei dibattiti televisivi per demonizzare l’avversario e – nell’impossibilità di controbattere – d’eseguire un “fuoco di fila” per interrompere qualsiasi ragionamento logico.

Alcuni esponenti del centro-destra hanno una naturale propensione per questa raffinata tecnica, come Cicchitto o La Russa, che appena avvertono un pericolo partono con una filippica che – a grandi linee – è sempre la stessa: l’11 settembre, l’euro, il “disfattismo della sinistra”, il “buco” di bilancio lasciato dalla sinistra nel 2001, e siamo certi che ogni ascoltatore ne troverà altri.

Va chiarito che gli argomenti non sono usati come frammenti sequenziali di una costruzione logica, un ragionamento, bensì “sparati” come un nastro di mitragliatrice, ed hanno un duplice scopo: non lasciar parlare l’avversario e ripetere all’infinito pochi, semplici concetti. In questo modo, anche una lampante menzogna – come quella che dà la colpa all’euro per la crisi economica italiana – diventa una mezza verità: gli analisti mediatici del Cavaliere sanno bene che il 2006 non è più il 2001, e le mezze verità devono bastare, perché gran parte dell’elettorato è disilluso e non risponde più ai grandi “proclami” quali il Contratto con gli Italiani, la Discesa in Campo, il libro sulle Malefatte del Comunismo, fino a Don Camillo, trasmesso puntualmente da Rete4 ad ogni appuntamento elettorale.

 

Se, dal punto di vista economico, sappiamo che il Cavaliere è uno dei tanti imprenditori che sono cresciuti solo grazie ai monopoli ed al protezionismo di Stato, più difficile è inquadrare l’uomo.

La sua formazione culturale è abbastanza oscura, come – del resto – sono i suoi metodi aziendali e di governo. Fu iscritto alla P2? Sdrammatizza con una battuta: io – imprenditore edile – solo un “libero muratore”? Ma scherziamo…

In realtà, su quella tessera si è sorvolato troppo: nessuno, nell’altro campo politico, ha ritenuto di chiedergli conto del perché militasse in un’associazione segreta insieme a personaggi come Pazienza e Sindona, Miceli, Maletti ed una pletora di loschi figuri che ad ogni inchiesta sullo stragismo saltano fuori come funghi.

Il nostro uomo ha invece una vera e propria propensione per le società segrete, per i “patti d’onore” al punto d’aver già fatto costruire un tempio funerario dove accogliere i suoi accoliti, da Galliani a Gonfalonieri.

Bisognerebbe – a questo punto – chiedere ad uno psicologo il significato di un simile atto: probabilmente risponderebbe che la visione che Berlusconi ha di sé stesso valica ogni confine dell’autostima e rasenta l’auto-esaltazione. Berlusconi è un soggetto borderline.

Riflettiamo su alcuni episodi – a prima vista ridicoli – che lui stesso ha creato: veramente crediamo che scherzi quando afferma d’essere “l’Unto del Signore”? Per chi avesse dimenticato il significato dell’unzione di un sovrano, rammentiamo che rappresentava il sigillo divino all’investitura, e questi non sono termini che si possono usare a casaccio. A meno che, Il buon Silvio non conoscesse il significato del termine, che è ancora peggio per una persona che vuole guidare l’ottava potenza economica mondiale.

L’uomo non si presentò alle elezioni del 1994 come un comune cittadino che vuole servire il suo Paese: lui “scese in campo”. Quale interpretazione semantica attribuire alla frase? Scendeva “in campo” per giocare una partita? La guida di una nazione non è certo una partita di calcio. Forse intendeva legare la “discesa” all’ “unzione”, ossia farci credere che la sua era una “discesa” quasi divina?

Ai primi scontri con i sindacati, quando CGIL CISL ed UIL iniziarono a condurre a Roma milioni di lavoratori che protestavano contro l’abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, il buon Silvio volò subito a Milano, nella protettiva villa di Macherio.

Ciò che stupì fu il commento della sua…fuga: «Meglio stare qui, lontano dalle vibrazioni negative che oggi percorrono Roma…»

Stare lontano dai lavoratori in lotta? Va bene, è un diritto che il Presidente del Consiglio – come qualsiasi cittadino – ha, ma il seguito, la giustificazione, ci sembra aberrante, pericolosa, iniqua. Simili fraseggi ricorrevano spesso nelle trasmissioni di “magia” di Wanna Marchi e del mago Do Nascimiento, ovvero nell’abisso nazional-popolar-giudiziario di una vicenda che aveva come unico scopo la truffa.

Siamo guidati da un uomo che teme le “cattive vibrazioni”?

 

Alcune sue boutade sono celebri: dare del kapò ad un deputato europeo tedesco oppure vantare chissà quali doti di grande amatore nei confronti della premier finlandese. E’ solo scemenza distillata? No, c’è dell’altro.

Il nostro uomo può vantare – nella storia dei Presidenti del Consiglio italiani – la più breve permanenza a palazzo Chigi, ovvero nel luogo deputato come sede del Primo Ministro.

Dov’è stato? In gran parte in Sardegna, tanto che – quando ci fu l’attentato di Nassirya – era al mare. In alternativa, c’è la residenza dei Carabi, dove riunisce i suoi accoliti, ovvero il suo gruppo di pelati-fotocopia.

Colpisce il fatto che tutti gli uomini del Cavaliere di provenienza Mediaset sono pelati come una rapa: Bondi, Galliani, Gonfalonieri, Vito. Giovani o vecchi, tutti disperatamente calvi. Chi non è pelato si rade i capelli a zero (per somigliargli?): non si tratta semplicemente d’emulazione, c’è dell’altro.

 

Tutto va bene, Madama la Marchesa, tous va bien nello stivale...venite ad investire in Italia – grida ai quattro venti il Silvio nazionale – ho sconfitto comunisti e sindacati, qui la gente lavora per un pezzo di pane! E compra un pezzo di pane.

 

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