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Gli aerei dei poveri

 

Dopo la recente guerra in Libano, molti analisti s’interrogano sulle reali capacità belliche dell’Iran, soprattutto per quanto concerne l’aspetto più importante della guerra moderna: la cosiddetta “intelligence elettronica”, ovvero quei sistemi che non sono direttamente collegati ad un’arma (sia essa aereo, nave, mezzo corazzato, ecc), bensì l’elettronica e l’informatica che gestiscono la raccolta d’informazioni, la loro analisi e le relative contromisure da adottare.

Si tratta di una materia dai confini assai labili, giacché parti dello stesso sistema di guerra elettronica possono essere utilizzate in campi diversi: possono entrare a far parte del sistema di guida di un missile antinave, oppure di un radar aria-aria di un caccia, ecc.

Mentre la recente “brutta figura” di Tzahal in Libano può essere spiegata da molti fattori – i nuovi lanciarazzi controcarro russi di Hezbollah, ma anche parecchi errori tattici compiuti dai generali israeliani – l’aver attaccato con successo le navi israeliane al largo delle coste libanesi con missili antinave denota un salto di qualità notevolissimo, soprattutto per i risultati ottenuti, siano essi l’affondamento oppure il semplice danneggiamento delle navi.

Una nave – per difendersi dal lancio di missili antinave – dispone di tre mezzi: le contromisure elettroniche, i sistemi di missili anti-missile e l’artiglieria a tiro rapido, tutte presenti sulle navi israeliane.

Trascurando l’artiglieria di bordo, bisogna concludere che i missili lanciati da Hezbollah sono riusciti a confondere e ad eludere sia il sistema di contromisure elettroniche (sofisticate emissioni che tendono a “far credere” al missile attaccante che la nave non sia nel punto dove si trova, bensì in un altro) sia i missili anti-missile (in questo caso, il sistema Barak).

La reazione di molti analisti è stata di sorpresa, ma se qualcuno si fosse preso la briga d’andare ad analizzare lo sviluppo dell’industria aeronautica iraniana nell’ultimo decennio, i rapporti fra Iran, Russia, Cina ed altri paesi del cosiddetto “Patto di Shangai”, non ci sarebbe troppo da meravigliarsi.

 

Uno dei paradossi della vicenda è che l’Iran – fino alla caduta dello Scià nel 1979 – ottenne copiosi rifornimenti d’armi dagli USA, fra i quali il famoso caccia F-14 Tomcat, unico stato al mondo a ricevere il potente intercettore.

Gli altri velivoli in servizio in Iran sono anch’essi prevalentemente di fonte occidentale: Northrop F-5, F-4 Phantom e Mirage F-1. Più recentemente sono arrivati in Iran anche Mig-29 russi e J-7 cinesi, ma la maggior parte dei velivoli è di provenienza occidentale.

Con l’avvento della Repubblica Islamica (1979) cessarono gli invii di rifornimenti all’Iran (a parte la fosca vicenda Iran-Contras) e le forze aeree iraniane si trovarono a dover immobilizzare a terra gran parte dei velivoli per mancanza di pezzi di ricambio.

La guerra Iran-Iraq fu combattuta da un Saddam Hussein (oggi processato dai vecchi amici!) copiosamente rifornito di armi dall’Occidente e dall’URSS, che vedevano entrambe nell’Iran il pericolo di una diffusione del pan-islamismo sia verso Occidente (Libano, Siria, ecc) sia verso nord (le repubbliche oggi ex sovietiche).

Se Saddam avesse vinto quella guerra, probabilmente oggi non si troverebbe prigioniero in un carcere: mai fidarsi dei “vecchi amici” quando non porti a termine il “lavoro”!

Lasciamo Saddam al suo destino e cerchiamo di capire come l’Iran ha cercato di superare l’isolamento internazionale di quegli anni.

 

Per prima cosa, i grandi mutamenti nello scenario internazionale hanno senz’altro aiutato Teheran: la caduta dell’URSS ha mandato in fumo un potenziale nemico al Nord, e la nuova Russia di Putin ha compiuto nel tempo una lunga marcia d’avvicinamento agli ayatollah. Perché?

Forse qualcuno ricorda il primo viaggio all’estero di Putin?

Appena eletto, il neo presidente fece un lungo viaggio nei paesi un tempo “satelliti” dell’ex URSS, dalla Libia al Vietnam, dalla Siria alla Corea del Nord: cosa assicurava Putin?

La principale rassicurazione riguardava proprio le forniture militari: rimasti praticamente senza pezzi di ricambio per un decennio, Putin assicurò a quei paesi che le forniture dalla Russia sarebbero riprese. Bastava pagare: di quei soldi – quando ancora il prezzo di petrolio e gas era basso – Mosca aveva un disperato bisogno per rimpinguare le casse statali.

Il passo successivo riguardò gli alleati “di riguardo”, ossia Cina ed India, con le quali firmò importanti trattati di cooperazione che riguardavano sia la vendita di materiale bellico, sia la cessione di “pacchetti tecnologici” e l’avvio di produzioni su licenza, particolarmente per due velivoli molto ambiti, il Mig-29 ed il Sukhoi-27.

Con quei primi contratti – e con le ricadute positive sull’industria bellica russa – Putin riuscì già nel 2003 ad incrementare del 50% gli investimenti nel campo della ricerca militare.

Nel frattempo, l’aumento del prezzo dell’energia consentì alla Russia di pagare l’enorme debito ricevuto in eredità dall’URSS e di poter pianificare la sua politica estera in modo indipendente ed ambizioso: i risultati di questa politica sono la resa degli indipendentisti ceceni e l’atteggiamento fermo di questi giorni nei confronti della Georgia, laddove la Russia non teme più di contrapporsi agli USA nello scacchiere del Caucaso.

Gli accordi con l’Iran fanno parte di un altro capitolo della politica estera russa: cooptare nella sua area quei paesi che si trovano ad essere emarginati dalla politica imperiale USA: l’Iran, appunto, ma anche il Venezuela.

 

L’alto costo dell’energia ha spostato enormi ricchezze verso Oriente, mentre il decollo industriale della Cina (e, in minor misura, dell’India) non solo aumentano il flusso di dollari verso Oriente, bensì elevano ogni giorno che passa il livello tecnologico dei paesi orientali.

Nell’ultimo decennio abbiamo assistito ad una vera “esplosione” dei contratti di costruzione su licenza nel settore armiero: i più importanti sono senz’altro quelli cinesi ed indiani – che riguardano il Mig-29 ed il Sukhoi-27 – ma anche la cessione della licenza di produzione del missile coreano Nodong, diventato lo Sharab III e IV in Iran, è un avvenimento degno di nota.

Paradossalmente, la penuria di pezzi di ricambio per i velivoli iraniani di provenienza occidentale ha condotto Teheran a stimolare la produzione interna delle parti necessarie per riparare ed ammodernare i velivoli. Come si è giunti al risultato?

Si tratta di una combinazione di fattori che comprende una necessità primaria (fabbricare i pezzi di ricambio), il buon livello dell’istruzione scientifica e tecnica nel paese, l’assistenza della Russia (per motivazioni economiche, ma anche strategiche, ossia per avere un alleato nel Golfo Persico) e della Cina (interessata al gas iraniano).

Altri, importanti fattori li ha creati la stessa amministrazione Bush, inserendo l’Iran e la Siria nel cosiddetto “Asse del male” e “circondando” l’Iran con le sue truppe in Iraq ed in Afghanistan. Ovviamente, chi si sente circondato cerca di rompere l’accerchiamento e trova “sponda” proprio in coloro che soffrono anch’essi per la stessa volontà egemonica degli USA, ossia Russia e Cina.

I risultati degli sforzi iraniani sono i missili Sharab, in grado di raggiungere il Mediterraneo, ma ciò che è poco conosciuto è l’incremento dato alle costruzioni aeronautiche.

Dopo aver costruito pezzi di ricambio, il passo successivo è stato quello di “ridisegnare” gli stessi aerei interpretandoli alla luce delle mutate esigenze.

 

Per capire il processo, è necessario conoscere a grandi linee i meccanismi d’ammodernamento dei velivoli militari: un settore molto complesso, nel quale però si possono tracciare alcune linee essenziali.

Un velivolo “nasce” quando il programma di costruzione viene “congelato”, ossia quando si può ragionevolmente ipotizzare che gli obiettivi del progetto sono stati raggiunti e che non ci saranno, nell’immediato futuro, novità tecnologiche tali da non far propendere per un rallentamento del programma. Se ogni programma attendesse sempre l’ultimo “ritrovato” tecnologico, non giungerebbe mai ad un risultato concreto, ossia alla produzione del mezzo.

Come si potrà facilmente capire, non esiste una “regola” valida per tutte le situazioni: al “congelamento” del programma potrebbero concorrere anche esigenze d’urgenza, per avere i velivoli pronti per un determinato anno, pur sapendo che in un futuro prossimo la tecnologia avrebbe certamente proposto nuove soluzioni.

In definitiva, il problema non è molto diverso da quello che ci troviamo ad affrontare nel momento della sostituzione di un’autovettura: spendere altri soldi per ripararla o cambiarla?

Nel caso dell’autovettura dovremo valutare l’affidabilità della meccanica e della carrozzeria, mentre in quello del velivolo (che non subisce una riparazione, bensì un aggiornamento) sarà valutata con attenzione l’affidabilità della cellula, considerando anche di cambiare il tipo di reattore, ma il “clou” dell’ammodernamento riguarderà l’elettronica di bordo, il “cuore” del sistema di combattimento.

Il caccia italiano F-104 non meritava un ammodernamento (a parte la vetustà dei velivoli) perché concettualmente superato: inutile spendere soldi per sistemare una sofisticata elettronica su un velivolo che aveva scarsissime doti di manovrabilità a bassa quota, giacché era nato per “arrampicarsi” velocemente alle altissime quote.

Al contrario, il caccia F-4 Phantom ed il Mig-21 meritavano attenzione perché la cellula rispondeva ancora alle mutate esigenze: dai vecchi F-4 (che combatterono in Vietnam) gli israeliani trassero il Kurnass, un ottimo velivolo per il ruolo Wild Weasel (Oca Selvaggia), ossia per la soppressione dei sistemi contraerei avversari.

I cinesi, a loro volta, “interpretarono” il Mig-21 (anch’esso “veterano” del Vietnam) e ne trassero il J-7, un velivolo “rustico” (come quasi tutti gli aerei sovietici) ma veloce, manovriero ed ancora affidabile, soprattutto se dotato di elettronica più moderna per la gestione dell’armamento.

 

Rimanendo “dalle parti” della Cina e di Israele dobbiamo menzionare che uno dei maggiori trasferimenti di tecnologia dello scorso decennio riguardò proprio Pechino e Tel Aviv.

A metà degli anni ’80, gli israeliani avevano progettato e costruito i primi due prototipi del Lavi, un caccia completamente nazionale, che avrebbe dovuto fornire a Tel Aviv la superiorità nell’area per almeno due decenni.

Israele dipende però, per le sue costruzioni militari, in gran parte dai finanziamenti USA, che lo scorso anno sono stati (almeno quelli ufficiali) di circa 2 miliardi di dollari.

A quel tempo, negli USA qualcuno iniziò a storcere il naso al pensiero che gli USA avrebbero finanziato la costruzione di un caccia il quale sarebbe andato a fare concorrenza proprio al “made in USA”, principalmente F-16 ed F-15, e posero l’aut aut: o il Lavi, o i finanziamenti USA.

Messa alle strette, Tel Aviv dovette riconoscere che senza l’aiuto economico statunitense non sarebbe mai riuscita a costruire l’ambito velivolo e rinunciò: difatti, oggi la “spina dorsale” dell’aeronautica israeliana è costituita da F-16 ed F-15.

Che fare del povero Lavi? Il buon velivolo (del quale furono costruiti due prototipi) – e tutto il programma tecnologico che lo aveva generato – fu venduto alla Cina, che a quel tempo non sembrava ancora impensierire troppo: bastava, per equilibrare la bilancia, vendere altrettanti aerei a Taiwan.

A margine, ricordiamo la vicenda dello sconfinamento del P-3 Orion statunitense che cozzò in volo contro un caccia cinese e che fu costretto ad atterrare in Cina: i cinesi restituirono l’aereo agli USA completamente smontato e dopo aver preteso anche il pagamento del trasporto. Non si sa se, prima dell’atterraggio, il personale americano riuscì a cancellare il software del sistema di rilevamento dell’aereo-spia americano, ma anche essere entrati in possesso dell’hardware non fu poca cosa per Pechino.

Altro fatto che avvenne negli anni ‘80 fu il grave danneggiamento della modernissima fregata statunitense Stark – della classe Oliver H. Perry – ad opera di un missile Silkworm cinese, lanciato nelle acque del Golfo Persico da una motovedetta iraniana.

Il Silkworm era un vecchio missile antinave d’origine sovietica “re-interpretato” dai cinesi: a quanto pare i cinesi furono bravi nella loro revisione, giacché il missile ingannò il sistema di guerra elettronica della nave e si fece beffa del cannone antimissile Vulcan Phalanx, che spara più di 100 colpi al secondo.

Tutti questi piccoli segnali avrebbero dovuto far sorgere qualche dubbio in Occidente, ossia che il gap tecnologico con i cosiddetti “paesi emergenti” forse non era più così cospicuo. Si dovette giungere fino al Libano, per accorgersi che Hezbollah faceva il tiro al bersaglio sulle navi israeliane come se fossero papere in uno stagno?

«I giapponesi hanno ottimi velivoli, ma non sanno volare» affermavano con sufficienza gli ufficiali britannici ad Hong Kong nel 1941: poche settimane dopo, gli stessi piloti cercavano scampo – dopo la caduta della città in mani giapponesi – su imbarcazioni di fortuna, bersagliati dai caccia pilotati dai giapponesi che “non sapevano volare”.

Tre secoli di dominio occidentale sul pianeta ci stanno oscurando la vista: non riusciamo nemmeno più a credere all’evidenza, ossia che in Oriente si sta costruendo tecnologia di pari livello alla nostra.

 

Un’altra novità poco conosciuta in Occidente è che la Russia ha “aperto le porte” per la costruzione su licenza del suo velivolo di punta, ossia del Sukhoi-27 (e derivati), considerato il più efficiente velivolo oggi in dotazione alle aeronautiche, se si considera che un velivolo lungo ben 22 metri è in grado di volteggiare come un addestratore (grazie all’ottimo rapporto potenza/peso), ha un armamento di lancio impressionante ed un’elettronica che gli consente di rilevare e “tracciare” dieci velivoli contemporaneamente in un orizzonte radar di 360°. Sono valori che nemmeno l’F-15 raggiunge[1]: finora, nessun Su-27 ha mai combattuto nelle guerre dell’ultimo decennio (a parte un trascurabile episodio nel Corno d’Africa, dove due Su-27 etiopi abbatterono senza difficoltà cinque Mig-29 eritrei[2]).

La produzione su licenza del Su-27 iniziò in Cina, ma oggi i cinesi propongono sul mercato il J-11 – praticamente un Su-27 rivisto “alla cinese” – e parecchie aviazioni dell’area sono interessate.

La Siria ha ricevuto recentemente i primi 4 Su-27 dalla Russia (probabilmente bi-posto da addestramento), il che fa supporre che intenda dotarsi anch’essa del potente bireattore russo. A margine, notiamo che la Siria possiede una discreta forza aerea e che quindi non avrebbe grossi problemi per l’addestramento dei piloti ai nuovi mezzi.

 

Le sorprese non finiscono qui, perché – nella prospettiva di una guerra all’Iran – le attenzioni degli analisti sono tutte puntate sulla guerra “non convenzionale” (ossia modello Iraq ed Afghanistan) che le truppe americane si vedrebbero imporre dalle Guardie della Rivoluzione iraniane (abituate da 10 anni di guerra contro l’Iraq!) proprio negli stessi luoghi.

Tutto ciò è assolutamente vero – e questa sarebbe la più pericolosa risposta iraniana – ma non dobbiamo sottovalutare gli aspetti tecnologici di una probabile guerra contro Teheran.

Dopo aver trasformato i missili coreani – migliorandoli – l’Iran è passato alla costruzione di nuovi velivoli, “re-interpretando” il caccia della Northrop F-5, dal quale hanno tratto l’Azarakash.

Il Northrop F-5 è ancora in servizio in molte aviazioni del globo perché fu un aereo “nato bene”, ossia leggero, maneggevole e veloce: l’unica sua pecca – se così si può dire – fu quella d’avere come “nemici” Mc Donnel Douglas e Grumman, il “Gotha” dell’industria aeronautica americana, che riuscirono a bloccare la costruzione del suo successore – il Northrop F-20 Tigershark – a tutto vantaggio dell’F-16.

Ciò nonostante, proprio per la bontà dell’F-5, l’aereo – adottato sì dall’USAF ma non con troppa convinzione – fu venduto in moltissimi esemplari soprattutto in Oriente, anche in Iran.

Oggi Teheran sta costruendo l’Azarakash, ossia un F-5 sul quale viene verosimilmente montato il sistema di combattimento del Mig-29 (probabilmente quello della versione M, in grado d’utilizzare anche le ultime generazioni di missili “lancia e dimentica”): con le prestazioni dell’F-5 e l’elettronica del Mig-29, si tratta di un velivolo in grado di dare parecchio filo da torcere ai migliori aerei in servizio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Finito? Manco per idea.

Se non bastava l’Azarakash, ecco lo Shefaq – un velivolo più leggero, destinato all’addestramento ed all’attacco/intercettazione – che parrebbe però costruito con materiale radar assorbente! L’aereo sembra nato da una “re-interpretazione” iraniana d’alcuni velivoli Yf-17 americani che l’amministrazione Reagan cedette all’Iran nel quadro dell’affare “Iran-Contras”[3]. Altri, invece, ci vedono la “mano” della Sukhoi russa, giacché assomiglia molto ad un velivolo di quella casa: comunque osserviamo la cosa, un velivolo ad alte prestazioni vola ed è prodotto in Iran.

Infine, durante le recenti manovre chiamate “Blow of Zolfaqar'” – svoltesi all’inizio di settembre del 2006 – il comandante in capo dell’aeronautica iraniana – l’ayatollah Salesi – ha dichiarato che il nuovo cacciabombardiere denominato Saeqeh “ha effettuato una missione di bombardamento contro obiettivi nemici simulati[4]”.

Altre fonti affermano che durante le stesse manovre sono state sperimentate nuove bombe da 2.000 libbre a guida laser, lanciate dagli stessi velivoli.

Dalle immagini rilasciate, ciò che colpisce è la modernità dei piani di coda dei velivoli, che denotano la propensione per alti angoli d’attacco ed una notevole maneggevolezza a bassa quota. Di più – vista la grande “riservatezza” iraniana – non si può dire.

 

Ovviamente non si può fare completo affidamento su tutte queste notizie, ma un dato è certo: l’Iran ha un’industria aeronautica nazionale che produce ed ammoderna velivoli ad alte prestazioni, cosa che solo una manciata di paesi, nel pianeta, sa fare. L’Italia, tanto per essere chiari, non fa parte di quella “manciata”[5].

Questi aerei sono da poco entrati in produzione in Iran (sicuramente l’Azarakash) e non potranno ancora mostrare le loro potenzialità in una possibile guerra a breve termine, però l’importanza di simili programmi deve far riflettere: qual è, oggi, il livello tecnologico dell’Iran?

Sicuramente l’assistenza russa e cinese è stata determinante per raggiungere questi risultati, però il supporto non è sufficiente – per costruire un’industria aeronautica nazionale – se il bagaglio tecnologico di un paese non è adeguato[6].

La vendita dei modernissimi sistemi contraerei russi Tor-M1, dei radar S-300 (che “vedono” gli aerei stealth americani) e dei missili antinave russi Mosquito non serve a nulla se non c’è personale addestrato ad usare questi sofisticatissimi sistemi d’arma.

Ne sono la prova – in modo assolutamente opposto – la Libia e la Serbia (entrambe con armamenti di fonte russa): nel primo caso, Tripoli non riuscì mai ad opporre nulla a limitate incursioni americane, mentre nel secondo, dopo 10.000 missioni aeree NATO nel 1999, le aeronautiche di 19 paesi NATO riuscirono appena a distruggere il 40% delle forze aeree serbe. Il resto – ossia la propaganda e la retorica – sono soltanto balle.

La prova? Tre o quattro modernissime navi israeliane sono state danneggiate od affondate da missili iraniani lanciati da Hezbollah: due più due fa soltanto quattro, e non tre o sei come vorrebbero farci credere.

 

Proprio in questi giorni, l’amministrazione Bush ha concesso ad Israele uno stanziamento extra di 500 milioni di dollari per ammodernare le sue forze armate. Non ci è dato sapere se Tel Aviv utilizzerà quei soldini per rimettere a posto le ferite causate dalla sciagurata avventura libanese, oppure per tentare di recuperare il gap tecnologico che l’ha vista perdente nei confronti della tecnologia iraniana.

Allo stato dell’arte, quindi, è abbastanza improbabile che Tel Aviv tenti il “colpo gobbo” nei confronti dei siti nucleari iraniani (come in passato era stato senz’altro prospettato), perché le brutte (per Israele) “novità” scoperte in Libano non consentono ai soli israeliani un attacco all’Iran.

Diverso è il caso degli USA – che potrebbero invece meditare un attacco a sorpresa, proprio per evitare che nel volgere di pochi anni l’Iran diventi non solo più forte militarmente, bensì che si proponga come fornitore di tecnologia militare nell’area – e le notizie di una Task Force in navigazione verso il Golfo Persico sono quindi coerenti.

Ciò non significa che l’attacco sia già stato deciso; all’interno del Pentagono sta avvenendo una vera e propria “faida” fra i generali (capeggiati da Abizaid) e Rumsfeld: la “madre di tutte le faide”, per dirla con Saddam Hussein.

Per ora Bush – pur propendendo per “l’interventista” Rumsfeld – non ha ancora probabilmente deciso nulla; troppe sono le voci contrarie ad un attacco all’Iran: la stessa Rice è molto dubbiosa.

I tempi però stringono: alle prossime elezioni di novembre – sempre che le elezioni non siano la solita farsa gestita con le “macchinette” della Diebold – Bush perderà molto probabilmente la maggioranza al Congresso e numerosi esponenti democratici stanno andando all’attacco della Casa Bianca, chiedendo commissioni d’inchiesta sull’Iraq e sempre più frequenti audizioni di militari.

Questo mese di ottobre sarà quindi decisivo per la vicenda iraniana (laddove anche le marmotte hanno compreso che le centrali nucleari non c’entrano niente): un Presidente sempre più solo, che deve fare i conti con il fallimento acclarato della sua politica, come reagirà?

Accetterà d’andarsene in silenzio e di ricevere un giudizio storico non certo esaltante, oppure adotterà anch’egli la massima “Dopo di me, il diluvio”?

Speriamo vivamente che scelga la prima opzione, perché non sappiamo fin dove le acque potrebbero arrivare.


 

[1]Ciò significa che l’F-15 Eagle è complessivamente in svantaggio rispetto al SU-27: per ottenere buone probabilità di successo, gli Eagle devono poter contare sull’assistenza di aerei AWACS (per intraprendere il combattimento da una posizione vantaggiosa), su un superiore addestramento dei propri piloti e su contromisure elettroniche efficaci. Tre fattori che non sempre sono scontati. E difatti in alcune recenti esercitazioni con le forze aeree indiane (equipaggiate di Flanker) gli F-15 dell’USAF, che nell’occasione non potevano contare su velivoli AWACS né su sistemi ECM, hanno perso il 90 % dei combattimenti aerei simulati oltre il raggio visivo (BVR).” Fonte: http://www.aereimilitari.org/Aerei/Su-27.htm

[2] Alcuni analisti sospettano che ai comandi dei velivoli etiopi ci fossero piloti “etiopskji”.

[3] La vicenda è piuttosto fosca: sembra che a metà degli anni ’80, l’amministrazione americana volesse rinforzare l’Iran per fare in modo che la guerra contro l’Iraq diventasse una sorta di “confronto infinito”, tale da assorbire le risorse d’entrambi i paesi ed impedire la loro modernizzazione interna.

[4] Fonte: agenzia IRNA, 6 settembre 2006.

[5] Se qualcuno avesse dei dubbi al riguardo, lo inviterei ad approfondire la vicenda dell’AMX – velivolo italo-brasiliano per l’attacco al suolo – del quale sono caduti in esercitazione 17 esemplari, a causa della scarsa potenza del propulsore: una evidente carenza nella progettazione. La vicenda è costata la morte di parecchi piloti ed addirittura il sequestro degli stessi velivoli da parte della Magistratura (unico caso al mondo).

[6] Diedi notizia dei nuovi programmi iraniani già nel 2002 nel libro che scrissi sugli equilibri militari dell’area. C. Bertani – M. Bottarelli – L’impero colpisce ancora – Malatempora – Roma – 2002.

 

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