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La notizia che l’Italia dovrà pagare 555 milioni di euro di “multa” all’UE per le inadempienze relative all’attuazione del Protocollo di Kyoto, è la prima avvisaglia – pratica, tangibile, perché quella multa la pagheremo tutti noi, destri e sinistri, nordisti e sudisti, dal prossimo Gennaio sulle bollette ENEL – dell’enorme ritardo italiano in campo energetico.
E non finisce qui: se non cambieremo rotta, nel 2012 la “multa” salirà fino a 5,6 miliardi di euro, cifre da Legge Finanziaria.
La risposta del Governo è stato il solito scaricabarile: colpa del precedente Governo che “contrattò” quote d’emissione troppo basse. Si tratta di una palese scusa per allocchi: la ripartizione delle emissioni, nel Protocollo di Kyoto, si basa su dati economici generali, quali il PIL, ecc, la domanda da porsi è: perché le altre nazioni europee non hanno questi problemi?
Da un lato perché hanno centrali nucleari, dall’altro perché si sono attrezzate da tempo a produrre energia con fonti rinnovabili, le quali non producono gas serra e, nel complesso conteggio di Kyoto, conducono a maggiori permessi d’emissione. Qualcuno potrebbe allora pensare: Berlusconi ha ragione, avanti col nucleare! Aspettate: il dolce è alla fine del pasto.
Semplificando molto Kyoto: se risparmio emissioni da un lato, mi viene concesso dall’altro.
La necessità di ridurre le emissioni ha un duplice scopo: evitare – se è ancora possibile: altrimenti, che Dio ce la mandi buona – i danni del mutamento climatico in atto (naturale o creato dall’uomo, poco importa, visto che i gas serra aumentano la riflessione della radiazione solare verso terra, impedendo la dispersione verso l’infinito) e creare una nuova industria energetica, in grado – nel volgere del prossimo mezzo secolo – di sostituire le tradizionali fonti fossili e l’Uranio.
La politica energetica dell’attuale governo potrebbe essere tranquillamente apostrofata come una “paleo-politica” energetica, giacché si prefigge di risolvere il problema costruendo quattro centrali nucleari, la prima delle quali dovrebbe entrare in servizio nel 2020.
Quella delle centrali nucleari di Berlusconi è una “bufala” incommensurabile: pur ammettendo che si giungano a trovare i 32 siti necessari per la produzione, lo stoccaggio delle scorie e le attività collaterali, c’è da chiedersi cosa ce ne faremo nel decennio 2020-2030.
La costruzione di centrali nucleari, nel Pianeta, volge al termine: pochissime sono le nuove realizzazioni, al punto che, negli USA, da circa due anni la produzione elettrica eolica ha superato quella nucleare. Attenzione: non la potenza installata, bensì la produzione vera e propria d’energia[1].
Le ragioni sono molte, ma la principale è la stima della IEA (International Energy Agency) sull’Uranio ancora disponibile: circa 40 anni con le attuali fasce di prezzo ed altri 40 con costi molto superiori. Ciò dipende dal tenore di Uranio nei minerali dai quali viene estratto che, con il trascorrere del tempo, diminuisce poiché s’esauriscono le miniere più ricche.
Un altro fattore che ha consentito la sopravvivenza del nucleare è stata la riduzione delle testate nucleari americane e russe causata dagli accordi SALT: l’Uranio recuperato è stato assorbito dall’industria elettro-nucleare. Oggi, quella “svendita” è terminata e dipese – per la precisione – non da un improvviso afflato di pace, bensì dalla necessità di ristrutturare l’armamento balistico, riducendo le moltissime testate poco efficienti (sic!) degli anni ’50-’60 con “roba moderna”.
Pensare quindi d’affidarsi al nucleare – di là delle considerazioni sulla reale efficienza del sistema che, come tutti sanno, non considera mai i costi di custodia delle scorte per 20.000 anni (chi vorrà, potrà leggere la mia divertente disanima “Vattelapesca forever”)[2] – è come fare incetta, oggi, di benzina verde per il 2030. E se, nel 2030, i motori funzionassero solo più con “benzina viola”? Oppure le auto fossero elettriche? Il piano energetico di Berlusconi è vecchio: no, fatiscente e non tiene conto della gran velocità con la quale muta il panorama energetico.
Oggi, la migliore “assicurazione” per il futuro energetico sono le rinnovabili: sole, vento, acqua, biomasse, correnti sottomarine, onde, pompe di calore, geotermia, la fusione fredda[3]…ci saranno fin quando esisterà il Pianeta.
Purtroppo, l’oligarchia dominante basa i suoi profitti su un sistema energetico che prevede quantità finite di materiali – come ogni buon monopolista deve fare per mantenere il predominio – e con “l’infinito” dell’energia rinnovabile non sa come riprodurre l’attuale sistema, che li vede tranquilli gestori, placidamente adagiati – metaforicamente – accanto alla pompa del distributore, al rubinetto del metano, al contatore elettrico.
Per questa ragione s’affidano all’energia nucleare: per la sola ragione che sperano di poter continuare a lucrare ancora per qualche decennio senza concorrenza! Il futuro del Pianeta? Le prossime generazioni? E chi se ne frega!
Ma torniamo alla multa, a cosa non è stato fatto, a cosa si sarebbe potuto fare: per argomentare, ci riferiremo ad una fonte sicuramente attendibile, l’ing. Domenico Coiante[4].
Quanto si sarebbe risparmiato se, invece di pagarli come ammenda all’UE per non aver ottemperato agli accordi internazionali stipulati, fossero stati investiti in attività di produzione energetica mediante aerogeneratori?
Oggi, dopo che il CESI[5] ha redatto il primo atlante eolico italiano[6], sappiamo che la convenienza dell’eolico (a parte le sperimentazioni per l’alta quota, il progetto Kitegen) è in mare: velocità e costanza del vento sensibilmente superiori, nessun intralcio alla navigazione (se debitamente segnalati) e, soprattutto, nessun impatto ambientale, giacché i “campi” in mare sono posizionati a distanze che li rendono invisibili da terra. Se, ancora, la cosa non vi convince perché avete dubbi “estetici”, non potete essere che Vittorio Sgarbi: il che, è già una bella disgrazia.
Il costo di un aerogeneratore in mare è superiore di circa il 25% rispetto ad un’analoga realizzazione a terra: maggiori costi dovuti alla piattaforma, ecc.
Siccome Coiante stima il costo di un KW di potenza eolica installata in 1.140 euro, ne deriva che lo stesso KW, in mare, costerà 1425 euro: insomma, per avere 1 MW di potenza eolica installata in mare, dovrete sborsare 1,425 milioni di euro. Se il costo è un aggravio, la resa è circa doppia rispetto ad una equivalente realizzazione a terra: il nostro “mulino” produrrà 3.000 MWh annui, contro i 1.500 a terra[7].
Quanto renderebbe, in termini economici, quel singolo aerogeneratore? Il prezzo dell’energia varia continuamente, secondo la Borsa Elettrica[8], ed il prezzo attuale s’aggira intorno ai 70 euro per MWh.
Perciò, in un anno, il nostro aerogeneratore renderà 210.000 euro e potrà essere ammortizzato in circa 8 anni, dopodichè produrrà energia – gratis, salvo una piccola quota per la manutenzione – per 22 anni.
In realtà, la convenienza è ancora maggiore poiché quell’aggeggio gode di un privilegio, giacché non produce gas serra: giustamente, viene compensato con i cosiddetti “Certificati Verdi”, che portano ad incassare circa 100 euro per MWh[9], e così l’impianto viene ammortizzato in minor tempo.
Quei soldi saranno pagati da chi, invece, produce energia emettendo gas serra: questo è – molto sinteticamente[10] – il funzionamento del mercato dei “Certificati Verdi”.
Quanta anidride carbonica si risparmia con un simile impianto? E’ presto detto.
Siccome, sempre secondo Coiante, un KWh termoelettrico produce 750 grammi di CO2, un MWh (x mille) ne produrrà 750 Kg.
Il nostro aerogeneratore, là, nel mare infinito dove ruota, produce 3.000 MWh l’anno, senza emettere CO2: ne consegue un risparmio di 2.250 tonnellate d’anidride carbonica l’anno, mica uno scherzo.
Siccome emettere una tonnellata di anidride carbonica, “sforando” i limiti, costa 15 euro di multa UE, il nostro piccolo mulino rappresenta un risparmio di 33.750 euro l’anno.
Concludendo, con quei 555 milioni di euro, si sarebbero potuti installare circa 390 MW di potenza eolica in mare, che avrebbero prodotto annualmente 117.000 MWh d’energia, con un risparmio di 292.500 tonnellate d’anidride carbonica.
Quelle 292.500 tonnellate, avrebbe fatto scendere la “multa” di 4.387.500 euro: poca cosa, direte voi.
Bisogna allora chiedersi perché le altre nazioni europee non pagano questi balzelli: poiché hanno iniziato da decenni ad installare impianti eolici, a sfruttare il solare termico come risparmio energetico sull’acqua sanitaria, hanno posto attenzione alla coibentazione degli edifici: in parole povere, hanno iniziato a pianificare la loro politica energetica in modo assai diverso. Basti pensare che la piccola Grecia ha una superficie installata di collettori solari doppia rispetto all’Italia! Non parliamo, poi, di Germania ed Austria.
Il cammino verso le rinnovabili è senz’altro lungo, e necessita di una rigorosa pianificazione degli interventi: i quali, devono tener conto che le energie rinnovabili sono energie naturali, e quindi sottoposte ai cicli della natura.
Un solo sistema, non regge perché può avere picchi e minimi stagionali, mentre un “mix” di vari sistemi – eolico in Primavera ed Autunno, Estate per il solare, Inverno per le biomasse di scarto agricolo utilizzate in cogenerazione (elettricità + calore per il riscaldamento) – è una buona base di partenza.
Servono poi sperimentazioni su piccola scala per l’Idrogeno per autotrazione: se ne parla, ma sarebbe meglio discuterne dopo una sperimentazione (magari un piccolo parco-auto di un ente pubblico) di qualche anno.
Allo stesso modo, bisognerebbe promuovere sperimentazioni (alcune già esistono) per le correnti sottomarine, le pompe di calore in geotermia, ecc.
Insomma, questo è il cammino, se qualcuno iniziasse ad intraprenderlo.
Non si vuole nascondere che gli impianti nucleari contribuiscano in larga parte al risparmio nelle emissioni di gas serra, ma si tratta di una tecnologia oramai al tramonto, che avrà ancora – forse, visto l’affacciarsi delle nuove economie nel nucleare – mezzo secolo di vita operativa. E poi?
Mezzo secolo non è un lasso di tempo così lontano: semplicemente, quando gli attuali infanti saranno alla piena maturità.
Le scelte degli altri Paesi vanno in altra direzione: dal programma termodinamico spagnolo (28 centrali) a quello australiano (centrale termodinamica da 250 MW), mentre gli USA puntano molto sull’eolico, come Germania, Spagna e Danimarca.
L’Italia, paradossalmente – proprio perché rinunciò al nucleare nel 1987 – potrebbe decidere di “saltare” quel segmento tecnologico che appena sfiorò con alcune modeste centrali, di scarso “peso” nel comparto energetico e puntare sul futuro, che non è certo il nucleare.
Una seria programmazione sulle rinnovabili dovrebbe prevedere investimenti dell’ordine di alcuni miliardi l’anno, reperibili mediante l’azionariato popolare, con buoni rendimenti e la garanzia dello Stato: ho già spiegato in un articolo – Venti nucleari[11] – come raggiungere il 44% della richiesta elettrica con il solo eolico, e non intendo ripetermi: chi vorrà, ne prenderà visione.
Per una volta, invece di guardare indietro, l’Italia dovrebbe andare avanti con coraggio e determinazione: purtroppo l’attuale classe politica, quasi al completo, non è in grado – prima ancora che per gli interessi che ha nel settore – di reggere la sfida per carenze culturali. Sanno poco o nulla di queste cose, e preferiscono pagar multe, che poi addossano a noi.
Saranno contenti quelli che li votano.
[1] Fonte: http://www.repubblica.it/2007/09/sezioni/ambiente/nucleare1/eolico-america/eolico-america.html
[3] Per gli scettici della fusione fredda, si vedano gli studi del compianto prof. Preparata e le sperimentazioni del prof. Del Giudice, bloccate per mancanza di fondi (2,5 milioni di euro!) quando poteva iniziare la fase ingegneristica del progetto. Ci sono, inoltre, paralleli studi giapponesi.
[4] Domenico Coiante (già responsabile per le energie rinnovabili dell'ENEA, esponente degli Amici della Terra e consulente scientifico del Comitato Nazionale del Paesaggio) – “Radiografia dell'energia eolica: un esame pacato e scientifico del ruolo dell'energia eolica in italia e nel mondo”. http://www.lipucapitanata.it/download/radiografiaeolico_di_Coiante.doc
[5] Centro Elettrotecnico Sperimentale Italiano.
[7] Il rendimento di un aerogeneratore (qualsiasi taglia) viene valutato mediante un parametro che calcola le ore annue alla massima potenza. Le ore, nell’anno, sono 8.760 perciò, se un aerogeneratore fornirà energia per circa 2.200 ore/anno sfrutterà circa il 25% del totale. In realtà, l’aerogeneratore fornisce quasi sempre una quota della massima potenza (ad esempio: “gira” al 70% della massima potenza): il calcolo annuale tiene conto delle media di queste percentuali, e le conforma in un dato che sono, appunto, le ore di esercizio alla massima potenza.
[9] Ibidem.
[10] In realtà, una quota viene prelevata anche dalla bolletta elettrica, e corrisponde circa al 5% del lordo che paghiamo. Come la utilizzino, poi: ah, saperlo…